Non è
facile per me scrivere dell’ultimo lavoro letterario vincitore del Premio
Strega 2023, “Come d’aria” (Elliot) di Ada d’Adamo, deceduta
lo scorso 1” aprile di tumore, pochi giorni dopo aver saputo che era entrata
nella “cinquina”.
Quando
si è finito di leggere “Come d’aria” si avverte un senso di vuoto, di
densità e di complessità.
Vuoto,
perché avresti voluto continuare a leggerlo.
Densità,
perché il lettore si imbatte nella tragicità di due esistenze, una tragicità composta
e indomita.
Complessità,
perché mentre l’Autrice invoca insistentemente, anche con una famosa lettera al
quotidiano La Repubblica, il “diritto” all’aborto, sostenendo che lo avrebbe esercitato
se avesse saputo in gravidanza che la figlia Daria sarebbe nata gravemente
disabile, contemporaneamente, lungo tutto il percorso narrativo, racconta dell’amore
incondizionato del nonno (il padre di Ada), del babbo Alfredo (il
compagno, poi marito, di Ada) e del proprio. Avrebbe sul serio soppresso la
destinataria di tanto amore? Di tanto riempimento della sua e delle altrui
vite?
Ringrazio
l’Autrice di aver usato il verbo più idoneo, “uccidere”, coraggio inusitato in
un’epoca di tirannide linguistica.
“Come
d’aria” è una madre che partorisce una figlia gravemente disabile dopo aver
abortito un anno prima per non perdere il proprio compagno, lo stesso compagno
che adorerà un anno dopo quella bambina, Daria, che avrebbe voluto far abortire
anche questa volta. Sarebbe stato adorato anche il primo figlio se non fosse
stato soppresso? E Daria sarebbe nata se Ada avesse partorito il suo primogenito?
E l’amica Francesca - che aveva abortito dopo aver scoperto che il bambino in
grembo era affetto dalla stessa patologia di Daria - quando tiene in braccio Daria
e la culla avrebbe voluto rimettersi dentro quel bambino abortito?
Ada si
ammala gravemente di tumore, quel cancro che le impedirà di ricevere da viva, lo
scorso 6 luglio, il Premio letterario italiano più prestigioso.
John
Donne diceva: “La malattia è la miseria massima, la massima miseria della
malattia è la solitudine”.
La
solitudine genera disperazione ed è la disperazione che porta ai suicidi, agli
aborti e all’eutanasia.
Cara
Ada, hai scritto un libro magico come tua figlia, chissà se un mondo con meno
solitudine e più vicinanza fisica ed affettiva ti farebbe cambiare idea sull’aborto.
O forse avevi cambiato già idea quando, mentre giacevi su quel letto di ospedale
e gridavi il tuo “No! No!”, ti hanno immobilizzato e praticato la sedazione per
procedere alla interruzione della gravidanza?
Cara Ada,
concordo con te su quanto hai scritto fra le righe dense della tua
autobiografia: il Covid ha fatto capire ad un Occidente dimentico della
malattia e della morte, che la malattia e la morte sono componenti naturali
della esistenza umana.
Un
libro lirico, emozionante, danzante e autentico come le vite di Ada, Daria e
Alfredo, come le loro vicinanze e lontananze: “So che la nostra vita è
andata così, che nella lontananza e nella distanza abbiamo scritto la nostra
storia e che in questa storia gli spazi bianchi hanno avuto un peso tanto
quanto le pagine scritte”.
Fabrizio
Giulimondi
La scrittrice non avrebbe potuto scegliere un professionista migliore di te. Recensire una storia così drammatica con tale maestria non è un impresa affatto semplice e specialmente non alla portata di chiunque. Complimenti Fabrizio! È sempre un grande piacere leggere le tue recensioni.
RispondiEliminaLa sensibilità e la intelligenza si rincorrono, negli scritti di Fabrizio, in modo armonioso e vivace ma sempre rispettoso mai sgarbato, valorizzando ancora di più l'opera recensita.
RispondiEliminaGrazie del tuo supporto.