“…zeppo di bauli, valige, macchine da cucire,
ma soprattutto scatole di vestiti, libri e giocattoli, di fotografie. I tesori
degli esuli scappati dalle truppe titine. Un deposito di mondi abbandonati in
tutta fretta e mai ricostruiti altrove”.
Il
romanzo vincitore della edizione 2024 del Premio Campiello, “Alma” di Federica Manzon (Feltrinelli),
è un lavoro complesso che parte come un diesel
di prima generazione per acquistare velocità solo dopo aver superato la prima
metà.
I
personaggi assumono nitore nel calar del sipario ma è proprio sul calar del
sipario che l’opera scatena la sua potenza e merita il secondo premio
letterario italiano.
Il
Maresciallo Tito e il suo comunismo differente da quello sovietico naufragano nell’Isola Calva. La menzogna, la
difesa dalla memoria e la decomposizione della lingua serbo-croata “iugoslava”
sono i collanti delle storie che passano dinanzi agli occhi del lettore.
Comunismo,
nazionalismo estremo e ferocia belluina slava fanno da detonatore alla guerra
balcanica che fra il 1991 e il 2001 riempie di luciferino orrore i territori
delle Repubbliche che via via si rendono indipendenti dopo la morte di Josip
Broz nel 1980.
Esiste
un “di qui” e un “di là”: da una parte Trieste, Gorizia, il Friuli, Roma,
mentre dall’altra ci sono il Carso, la Dalmazia, l’Istria, la Slovenia, la
Croazia, la Bosnia, la Serbia. I protagonisti si spostano convulsamente fra l’uno
e l’altro luogo - non solo spazi
geografici ma anche antropologici e metafisici - e lo spostamento determina
confusione in chi legge: è come se le persone fossero sradicate dalle aree dove
regna la propria azione, è come se queste persone non appartenessero più ad una
dimensione spaziale determinata. È difficile dare un nome alle città che
fungono da set, perché non sono
indicate direttamente ma tramite i toponimi delle strade, delle piazze e dei
parchi.
L’orrore
è dietro e a fianco degli attori del racconto ma non dentro di loro come se ne
fossero solo sfiorati: “Ad Alma viene da
vomitare, deve essere faticoso vivere dovendo essere figli della nazione,
guerrieri, sanguinari, instancabili stupratori e sprezzatori delle donne”.
Vukovar,
Sarajevo, Srebrenica, Belgrado, ustascia e cetnici, croati, serbi, bosniaci,
sloveni: un miscuglio intricato di etnie, sangue e religioni che si odiano di
un odio ancestrale che dà vita ad una violenza oltre l’immaginazione umana; i
croati si divertono a giocare a calcio con le teste dei serbi e i serbi si
divertono ad ammazzare i bambini dinanzi alle madri per vederne la reazione e,
in mezzo, vi sono miriadi di donne terribilmente stuprate.
La Manzon del suo “Alma” ne ha fatto un diorama di ciò che è stato e le pause, i
silenzi e i non-detto riempiono di particolare significato questo diorama.
Fabrizio Giulimondi
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