venerdì 31 ottobre 2025

“AVANTI VA IL MONDO” (BOMBIANI, 2024) del PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2025 LÁSZLÓ KRASZNAHORKAI

 


László Krasznahorkai, vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2025, con la sua opera particolarmente rappresentativa del proprio tocco artistico “Avanti va il mondo” (Bombiani, 2024), traccia le ragioni per le quali è stata vista la sua letteratura dominare su quella degli altri aspiranti al prestigiosissimo riconoscimento.

Allucinatorio, onirico, surreale, ectoplasmatico, vaneggiante, sganciato dalla realtà, una realtà evanescente assorbita nel profluvio di parole incastonate in periodi lunghissimi privi di punti. L’assenza dei punti conferisce alla lettura un ritmo ansiogeno e martellante, togliendo al lettore il respiro e dando vita ad uno stile distonico a quello tradizionalmente adoperato. Come la pittura cubista e astratta ha rotto i canoni stilistici dell’arte figurativa classica, lo scrittore magiaro irrompe nell’ars scribendi deformandone i paradigmi rimodulati non secondo le regole estetiche canoniche, bensì nella volontà di inceppare i meccanismi misteriosi delle emozioni umane.

Le storie narrate non hanno un inizio e non possiedono una fine perché al momento della narrazione esse sono “già incominciate” e non si concludono affatto perché spetta a noi compiere l’attività creativa di individuarne una.

Krasznahorkai costruisce i ventuno racconti intorno ai dettagli più minuti e insignificanti, perché il significato sta nell’insignificanza e nella osservazione di ciò che sfugge alla quotidianità.

Shangai, Varanasi e altre città non possiedono una loro consistenza geografica ma rappresentano soltanto una scenografia che circonda la parola, unica e vera protagonista dell’esercizio letterario: i personaggi, gli spazi, i comportamenti, gli oggetti sono secondari, è la parola e la sua composizione, correlazione e confluenza in altre parole a dominare tutto, è l’irrealtà della parola a primeggiare sulla realtà delle cose.

L’opera letteraria di Krasznahorkai traspone in letteratura le modalità recitative di Carmelo Bene: il suono della parola sovrasta il vociare noioso degli individui. Nell’Amleto di Carmelo Bene il frastuono incalzante della interpretazione teatrale mette in secondo piano le vicende del principe danese.

Non v’è né realtà né irrealtà in quanto il lettore vaga in un terzo genere esistenziale, in un iperuranio letterario.

Una sinfonia scomposta di fonemi, un nuovo modo di concepire la scrittura, lo schema classico che cede il passo ad una destrutturazione della composizione letteraria ridisegnata secondo i dettami dell’anima che ne viene inevitabilmente scossa, come quando si rimane a lungo innanzi ad una figura umana ripensata in modo non umano.

Le assonanze e le dissonanze, le armonie e le distonie dei vocaboli non sono la base delle ventuno storie narrate ma sono le ventuno storie stesse.

Fabrizio Giulimondi

Nessun commento:

Posta un commento