Con la sentenza in esame si giunge alle battute conclusive (anche se vi è una nuova iniziativa giudiziaria di cui si accennerà di qui a poco) di una complessa vicenda, relativa alla cessione delle quote di partecipazione alla centrale del latte di Roma.
L’interesse della decisione deriva altresì dalla pluralità di aspetti affrontati in sede di riesame critico della pronuncia di primo grado, svolto peraltro con accenti piuttosto forti verso la sentenza riformata invero non abituali nella generalità delle sentenze di appello nella giustizia amministrativa.
( il contenzioso)Al fine di meglio comprendere le statuizioni contenute nella decisione di cui si tratta occorre brevemente riassumere la complessa vicenda, sia nello svolgimento dei fatti che nei diversi gradi di giudizio.
Ben dodici anni fa il Comune di Roma dava avvio ad una complessa procedura comportante all’esito la cessione di una partecipazione pari al 75% del capitale sociale della Centrale del latte di Roma Spa.
Successivamente alla pubblicazione dell’avviso per raccogliere le manifestazioni di interesse, iniziava una fase di contatti e valutazione affidata ad una società esterna in qualità di advisor. In tale fase veniva disposta l’esclusione della trattativa dell’offerta dell’ Ariete Fattoria Latte Sano Spa per ritenute incongruenze delle garanzie fideiussorie prestate nonché per mancata manifestazione d’interesse all’acquisizione dell’intero compendio immobiliare. Tale esclusione veniva impugnata davanti al T.A.R. Lazio e, in virtù di ordinanza cautelare, la stessa società veniva riammessa alla procedura e poteva così presentare al T.A.R le proprie definitive proposte alla pari degli altri interessati della cosiddetta “short list” (cioè delle imprese ammesse alla trattativa). All’esito della procedura, il Comune di Roma approvava il progetto di liquidazione della Centrale del latte di Roma, il trasferimento dell’azienda al Comune, il conferimento della medesima alla società per azioni Centrale del latte Spa e il trasferimento del 75% del pacchetto azionario alla società Cirio, con stipulazione del contratto di vendita e di connessi patti parasociali. Quindi, la stessa società Cirio conferiva l’intera sua divisione latte, ivi compresa la recente acquisizione del 75% di Centrale del latte di Roma a una sua controllata e, successivamente, l’intero comparto latte con i relativi marchi a Parmalat Spa. Il Comune di Roma prestava consenso in forma scritta alla sostituzione.
A questo punto la Società Ariete Fattoria Latte Sano Spa notificava al Comune di Roma un atto di significazione, diffida e messa in mora con cui si chiedeva di esercitare il potere di autotutela della risoluzione del contratto stipulato con la Società Cirio nel rispetto della clausola risolutiva espressa prevista dall’articolo 16 del contratto di dismissione del pacchetto azionario. A fronte dell’inerzia mantenuta dal Comune, la Società Ariete Fattoria Latte Sano Spa presentava ricorso giurisdizionale volto alla declaratoria di illegittimità del silenzio - rifiuto formatosi sull’atto di diffida nonché alla condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni. La prima sentenza con cui il Tar Lazio declinava la giurisdizione veniva annullata dal Consiglio di Stato che affermava la giurisdizione amministrativa, giurisdizione avvallata anche a seguito del regolamento di giurisdizione proposto dal Comune di Roma(sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione 3 maggio 2005, n. 9103).[1]
Quindi il giudizio veniva riassunto davanti al T.A.R. del Lazio che con sentenza 2883/2006, accoglieva in parte il ricorso della Società Ariete Fattoria Latte Sano Spa, sul presupposto della operatività della clausola risolutiva espressa. Il Consiglio di Stato, con decisione n 247 del 2006, ha tuttavia annullato la sentenza di prime cure per non essere stato correttamente instaurato il contraddittorio tra le parti necessarie.
La vertenza quindi ritornava per la conclusione al Tribunale Amministrativo romano che, con sentenza 27 luglio 2007 n 7119 oggetto dell’appello deciso dalla sentenza in esame, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, dichiarava illegittimo il silenzio serbato dal Comune di Roma, al quale contestualmente ordinava di dare esecuzione alla diffida attraverso l’adozione di un provvedimento espresso. La sentenza statuiva altresì la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno in favore di parte ricorrente.
Peraltro, pochi mesi prima un’altra sezione del T.A.R. Lazio aveva respinto, con sentenza 3347/2007[2], il ricorso proposto dalla stessa società Ariete Fattoria Latte Sano spa avverso l’esclusione dalla trattativa diretta a suo tempo disposta.
La sentenza in commento, oltre a confermare quest’ultima statuizione, in specie per mancata impugnativa dell’aggiudicazione definitiva, ha riformato la sentenza del T.A.R. Lazio 27 luglio 2007, n.7119.
Segnatamente due sono le conclusioni di massima che possono trarsi dal dispositivo della decisione del Consiglio di Stato in questione: la prima concerne la legittimità degli atti posti in essere, mentre la seconda afferisce i profili nell’interesse dell’Amministrazione comunale.
Sotto il primo aspetto non c’è dubbio che la procedura vada esente dalle critiche opposte dal giudice di primo grado (sentenza n 7119/2007): la negoziazione (fra l’amministrazione comunale e la Cirio) intervenuta nei modi e con le forme tipiche previste dalla legge; le clausole sono state contrattate in anticipo rispetto alla scelta del contraente ed in posizione di parità tra tutti gli aspiranti; infine, la transazione non contiene elementi innovativi di sorta rispetto a quanto precedentemente pattuito.
È altresì incontestabile - circa il secondo aspetto - che il Comune di Roma, in ragione della violazione della clausola risolutiva espressa contenente il divieto infra-quinquennale di cessione ulteriore del pacchetto azionario, ha ricevuto una refusione a dir poco modesta da parte della Cirio per aver ceduto tale pacchetto alla Parmalat nell’arco dei cinque anni, anche in comparazione con gli enormi ricavi conseguiti dalla stessa Cirio con la cessione alla Parmalat. Per tali ragioni il Consiglio di Stato ha trasmesso gli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti del Lazio per la possibile realizzazione di un danno erariale ad opera di funzionari comunali
La Ariete Fattoria Latte Sano spa lo scorso 12 dicembre ha presentato ricorso per revocazione avverso la sentenza in esame in ragione di una presunta nullità per irregolarità nella composizione del collegio giudicante.
( il versante processuale) Nell’ambito della complessa vicenda e della ricostruzione compiuta dal giudice di appello occorre enucleare alcune indicazioni di principio, brevemente riassunte nelle massime sopra riportate.
In primo luogo, sul versante processuale, la sentenza fa proprio e applica correttamente al caso “de quo” un principio ormai consolidato, relativo all’obbligo di impugnare anche l’atto conclusivo della gara, l’aggiudicazione, in capo a colui che, escluso, abbia tempestivamente impugnato l’atto di esclusione.
In proposito, l’ampio dibattito svolto sugli effetti caducanti o vizianti rispetto ai successivi atti di gara derivanti dall’accoglimento di un gravame proposto avverso un precedente atto della stessa gara non può dirsi del tutto sopito. Invero, se in generale la tesi assolutamente prevalente ribadisce che l’impugnazione del bando o dell’atto di esclusione diventa improcedibile nel caso di mancata impugnazione dell’aggiudicazione, in ragione del carattere inoppugnabile del provvedimento finale attributivo dell’ utilitas all’aggiudicatario ( fra tutte, decisione Consiglio di Stato, sezione V, 11 luglio 2008 n 3433[3]), in sede applicativa si rischia il paradosso della non operatività di tale regola nel caso di impugnativa del bando ad opera del soggetto escluso, il quale sarebbe impossibilitato( o in particolare difficoltà) ad aggredire anche l’atto di aggiudicazione, ove si seguisse il principio per cui l’impresa ricorrente illegittimamente esclusa non sia affatto obbligata a presentare la domanda di partecipazione, allo scopo di non arrecarle inutili aggravi (Tar Puglia – Lecce , sezione II , 11 ottobre 2007 n. 3468)[4] .
Si pone la questione della necessità di imporre l’ulteriore onere di impugnare la conclusione della gara( l’aggiudicazione) in capo ad un soggetto che non ha, né poteva né doveva farlo, partecipato alla stessa. Peraltro, ogni rischio di disarmonia si può escludere imponendo un piccolo onere in capo all’impresa che esercita il proprio interesse strumentale avverso il bando, cioè quello di seguire comunque la gara in modo da essere in grado di formulare tempestiva impugnativa anche dell’aggiudicazione.
In secondo luogo, sul medesimo versante, la pronuncia ribadisce la lettura restrittiva in ordine all’estensione del rito del silenzio: la quinta sezione infatti ha reputato inammissibile il silenzio serbato dalla P.A., sia per la natura contrattuale delle pattuizioni, sia per l’insussistenza del presupposto dell’obbligo di provvedere, in seguito a un’istanza di autotutela. La pronuncia merita pertanto di essere segnalata per la conferma di una lettura restrittiva del rito del silenzio, da reputarsi inammissibile in assenza della tempestiva impugnativa di atti preesistenti, sia in quanto ribadisce la presa di posizione già espressa dal Consiglio di Stato in sede di riforma di alcune aperture emerse in primo grado, in ordine all’inammissibilità della domanda risarcitoria in tale sede. In proposito, va richiamata quella pronuncia in forza della quale il rimedio del silenzio-rifiuto va configurato come strumento diretto a superare l’inerzia della P.A. nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, a fronte di una posizione di mero interesse legittimo in capo al cittadino, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso volto ad ottenere il risarcimento del danno a seguito dell’inerzia dell’Amministrazione comunale (Consiglio Stato, Sezione V, 30 novembre 2007 n. 6138, analogamente Consiglio di Stato , sezione IV, 28 aprile 2008 n 1873, per la quale è inammissibile la domanda di risarcimento del danno proposta nell’ambito del rito speciale previsto dall’articolo 21 bis della legge 6 dicembre 1971 n 1034, poiché con tale rito può essere unicamente impugnato il silenzio serbato dall’amministrazione su un’istanza, ma non è possibile formulare alcuna altra domanda).
(il versante procedimentale e l’obbligo di gara)Le affermazioni rese sul predetto versante processuale trovano anche un riscontro sul lato del procedimento, in specie laddove viene ribadito un principio tanto consolidato quanto poco ribadito: l’istanza di autotutela del privato esclude la sussistenza di un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione. In proposito, la potestà di intervenire in via di autotutela su provvedimenti che, come nel caso di specie, versano in condizione di inoppugnabilità, è rimessa alla più ampia valutazione di merito dell’amministrazione in relazione all’attualità dell’interesse pubblico che giustifichi il riesame della vicenda. Ciò esclude che, attraverso lo strumento della formalizzazione del silenzio rifiuto, possa ottenersi a mezzo di ricorso impugnatorio una dichiarazione di obbligo a provvedere che verrebbe a sostituirsi e a sovrapporsi a valutazioni di merito che, come innanzi detto, restano riservate alla sfera di competenza dell’amministrazione ( ad esempio Consiglio di Stato , sezione VI , 28 marzo 2007 n 1427 ) .
Dal punto di vista dell’analisi del procedimento, nel caso in esame la fattispecie si è caratterizzata, anteriormente all’istanza di autotutela e al conseguente ricorso per silenzio, quale applicazione in sede di enti locali del processo di privatizzazione disciplinato dalla nota normativa di cui al d.l. n. 332 del 1994. Nel caso in esame si è dato luogo ad una cosiddetta privatizzazione sostanziale, nel senso che è stata ceduta la maggioranza delle quote azionarie.
Atteso che la quinta sezione del Consiglio di Stato ha affermato che la procedura seguita dalla Amministrazione comunale romana sostanzia una trattativa privata peculiare, non qualificabile alla stregua di una specie di procedura ristretta, rappresentando la struttura ideale per la formazione progressiva di uno schema contrattuale nel quale le imprese, ammesse in posizione di parità, immettono apporti dialettici e propositivi sui quali il futuro cessionario opererà, con l’assistenza dell’advisor, scelte discrezionali di natura anche tecnico-economica, il Comune di Roma ha indubbiamente rispettato la necessaria procedimentalizzazione a evidenza pubblica nella individuazione del soggetto a cui traslare il pacchetto azionario della Centrale del Latte, anche alla luce della riconosciuta sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in subiecta materia ad opera delle già citata decisione pronunziata dalle sezioni Unite della Cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione del 3 maggio 2005, n. n 9103.
In una visione più ampia e comunitariamente orientata, anche la cessione di quote azionarie di proprietà pubblica costituisce attuazione di una scelta effettuata funzionalmente al perseguimento di un interesse pubblico, indicato nella specie anche a livello legislativo proprio dalla normativa richiamata. Quindi, pur avendo carattere formalmente privatistico, anche tale attività è da reputarsi funzionalmente orientata nel senso indicato, non già quindi manifestazione di un diritto di libertà come per i privati.
In tale ottica trovano adeguata sistemazione le regole di evidenza pubblica, sia di origine interna, in cui le norme tendono a far sì che l’amministrazione scelga la controproposta più favorevole, sia di origine comunitaria, in cui i principi tendono a prescrivere il rispetto della piena concorrenza al fine di garantire la piena esplicazione dei diritti di libertà di circolazione e stabilimento.
Nel caso de quo si è chiaramente avuta una vera e propria procedura di gara adeguatamente procedimentalizzata, tale da ritenere con certezza sussistente la giurisdizione amministrativa, relativamente alla quale la mancata tempestiva contestazione assume rilievo dirimente.
Del pari estranei alle reali necessità del caso appaiono quindi anche i riferimenti, contenuti nella sentenza, in ordine alla piena sussistenza della pregiudiziale amministrativa la quale, pur se ribadita al più alto livello della giurisprudenza amministrativa (Adunanza plenaria n. 12 del 2007) fatica a trovare pieno consenso sia in dottrina che in giurisprudenza (ad esempio Consiglio della giustizia amministrativa della Sicilia, sezione giurisdizionale , 23 settembre 2008 n 780) . Ma questa è un’altra storia, o meglio un altro contrasto, su cui è auspicabile che le giurisdizioni superiori trovino un punto di incontro, sotto la stella polare della certezza del diritto e dell’effettività della tutela.
Prof. Fabrizio Giulimondi
1 “ In tema di procedure di privatizzazione o di dismissione d’imprese o beni pubblici (nella specie, vendita da parte del Comune di Roma, a seguito di procedura a evidenza pubblica per la selezione del contraente, della quota azionaria nella Centrale del Latte Spa), l’impugnazione, da parte del partecipante alla gara, del silenzio rigetto formatosi sull’atto di diffida e messa in mora della P.A. ad attivarsi, in sede d’autotutela, a risolvere il contratto e a indire una nuova gara a seguito dell’inadempimento del contraente privato (che nella specie aveva proceduto alla vendita del pacchetto azionario in violazione del divieto temporaneo d’alienazione), è volta a censurare l’esercizio illegittimo, quanto al rapporto sostanziale fatto valere, dei poteri della P.A., e denunciando la lesione dell’interesse legittimo al corretto svolgimento della gara per la dismissione della (partecipazione azionaria nella ) impresa pubblica, rientra, in ragione della consistenza della situazione giuridica tutelata, nella competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, al quale spetta conoscere –ai sensi dell’art 7 lettera c) della legge 21 luglio 2000 n 205, con cui è stato novellato il testo dell’articolo 35 del Dlgs 31 marzo 1998 n 80 – anche della domanda di reintegrazione in forma specifica dell’interesse legittimo leso (mediante la declaratoria dell’obbligo della P.A. di risolvere il contratto precedentemente stipulato), trattandosi di richiesta di pronuncia di risarcimento del danno inteso quale diritto patrimoniale consequenziale.” (Cassazione, sezioni Unite civili, sentenza 3 maggio 2005 n 9103)
[2] “…..il danno viene identificato nel non aver potuto l’istante beneficiare dell’utilità connessa al bene della vita ambito nel tempo intercorrente tra il momento in cui il provvedimento avrebbe dovuto essere rilasciato e il momento in cui invece il detto rilascio è intervenuto. In particolare, nonostante il detto provvedimento conseguente al giudizio sul silenzio non sia completamente esaustivo delle pretese fatte valere da parte ricorrente, tuttavia, lo è nella sua parte fondamentale, avente a oggetto la verifica della legittimità del complessivo operato tenuto da parte dell’amministrazione comunale nella vicenda di cui trattasi, nei termini in cui dispone la presa di atto della nullità degli atti contrattuali indicati. Nella specie, tuttavia, la considerazione che permane in capo all’amministrazione il potere di determinare il contenuto dei provvedimenti conseguenti alla presa di atto della nullità, induce a ritenere che il danno possa essere ragionevolmente limitato al solo danno emergente, con riferimento alle spese inutilmente sostenute al fine della partecipazione alla procedura per cui è causa nonché al rafforzamento nel mercato del latte dei concorrenti ed alla riduzione di prestigio di parte ricorrente conseguente alla lesione della propria immagine.
A tal fine si ritiene di potere quantificare il danno complessivamente subito nella misura del 5% degli utili netti di bilancio conseguiti da parte della ricorrente nell’anno 2000 da porsi a carico del Comune di Roma ferma la facoltà delle parti di accordarsi ai sensi dell’art 35 co 2 legge 103471971, come successivamente modificato dall’art 7 della legge 205/2000”(TAR Lazio, sentenza 27 luglio 2007, n.3347).
[3] “… è inammissibile il ricorso avverso la sola esclusione dalla gara ovvero avverso la sola aggiudicazione provvisoria, in quanto si ritiene necessaria l’impugnativa autonoma dell’aggiudicazione definitiva, visto che quest’ultima non va considerata atto meramente confermativo o esecutivo, ma provvedimento che, anche quando recepisca i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti”( Consiglio di Stato sezione V, sentenza 11 luglio 2008 n 3433)
[4] “…….preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’azione per non avere le ricorrenti presentato domanda di partecipazione alla gara “de qua” dal che discenderebbe la carenza di legittimazione attiva e/o di interesse al ricorso. Tale eccezione che pure trova un appiglio in una parte della giurisprudenza formatasi in “subiecta materia” la quale afferma che l’impresa che contesti la legittimità di un bando di gara deve comunque presentare domanda di partecipazione al fine di conservare un interesse ad agire, a giudizio del Collegio non è da condividere.
In effetti, laddove si sia in presenza di una clausola cosiddetta escludente (nel senso chiarito dall’ormai celebre decisione n 1 del 2003 dell’Adunanza plenaria) , l’onere di presentare la domanda di partecipazione (domanda che, in presenza di una clausola di tal fatta, è destinata inesorabilmente a essere esclusa) costituisce un inutile aggravio a carico dell’impresa (in tal senso, ex multis, T.A.R. Lecce II , n 824/2004) . Inoltre, è proprio l’esito stesso del giudizio(id est, eliminazione della clausola impeditivi della partecipazione e/o della formulazione di un’offerta adeguata ) che fornisce la migliore riprova di tali asserzioni, visto che ( soprattutto in vicenda nelle quali viene in discussione la id est, eliminazione della clausola impeditiva della partecipazione e/o della formulazione di un’offerta adeguata ) che fornisce la migliore riprova di tali asserzioni, visto che ( soprattutto in vicenda nelle quali viene in discussione la congruità del prezzo a base d’asta) l’emendazione del bando consente al ricorrente vittorioso di vedersi riattribuire integralmente la chance di partecipazione e di aggiudicazione dell’appalto”( TAR Puglia, Lecce, sezione II, sentenza 11 ottobre 2007, n.3468)
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