Le fonti del diritto sono tutti gli atti o i fatti dai quali traggono origine le norme giuridiche. Caratteristica fondamentale degli ordinamenti giuridici moderni è la pluralità delle fonti.
La teoria generale sul sistema delle fonti, infatti, ha il compito di individuare sia quali siano le fonti del diritto, sia i procedimenti attraverso i quali tali fonti debbono essere prodotte: nel primo caso si parlerà propriamente di fonti di produzione; nel secondo caso di fonti sulla produzione.
In seno alle fonti di produzione sussiste una ulteriore distinzione fra fonti - atto e fonti – fatto.
Le fonti-atto si sostanzia nelle regole di comportamento obbligatorie per tutti i consociati, contenute in norme giuridiche espressione della volontà di determinati organi a ciò deputati dall’ordinamento statuale (la legge approvata dal Parlamento).
Può essere attribuita una valenza normativa (capacità di essere considerata come una regola di comportamento obbligatoria per tutti) anche alle fonti-fatto, ossia a comportamenti umani o a fatti sociali: il semplice fatto che un determinato comportamento venga assunto dalla generalità dei componenti di una comunità , senza seguire regole predeterminate, né con la esplicita consapevolezza di rispettare una norma, può comunque costituire una fonte di produzione del diritto.
La norma è il prodotto della fonte di produzione, mentre la disposizione è il testo scritto dal Legislatore.
Le fonti di produzione pongono, pertanto, le norme di comportamento costitutive del diritto oggettivo e, possono essere definite come ogni fatto abilitato dall’ordinamento giuridico a innovare il diritto oggettivo.
Le fonti sulla produzione, invece, disciplinano i procedimenti formativi delle fonti di produzione, indicando chi è competente ad adottarle ed i modi della loro adozione.
Le fonti di cognizione sono lo strumento per portare a conoscenza della collettività delle fonti di produzione approvate in esito alle fonti sulla produzione, ossia i mezzi di informazione in forza dei quali si porta a conoscenza dei destinatari le norme espresse nelle disposizioni approvate nel rispetto delle procedure dall’organo a ciò deputato dall’ordinamento giuridico.
Le fonti di cognizione si distinguono in:
- Forme di pubblicazione necessaria, che precedono e condizionano l’entrata in vigore di una fonte di diritto ( ad esempio: la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana di una legge):
- Le forme di pubblicazione notiziale, come la ripubblicazione sulla Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana di un atto normativo già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Una tipologia di fonte di cognizione sono i Testi Unici, vale a dire la raccolta e la riformulazione di disposizioni di molteplici testi normativi succedutisi nel tempo, accomunati dalla disciplina della stessa materia (ad esempio: Testo Unico sulle leggi di pubblica sicurezza, sulla immigrazione, sul pubblico impiego).
I Testi unici veri e propri sono meramente compilativi, ossia di sistemazione, raccolta e razionalizzazione dei testi che disciplinano lo stesso argomento, senza portare alcuna modificazione delle disposizioni oggetto dell’intervento.
I Testi unici possiedono, invece, una natura di fonte di diritto e, segnatamente, di fonte di produzione, quando hanno natura innovativa, ossia non si limitano ad essere un contenitore razionale di disposizioni di legge o di regolamento, bensì incidono su di esse, modificandole, integrandole, sostituendole o abrogandole.
Le fonti-fatto
Fra le fonti fatto, intese - come già detto in precedenza – come fonti non scritte determinate da fatti sociali o naturali considerati idonei a produrre diritto, v’è la consuetudine.
La consuetudine consta di due elementi fondamentali:
l’elemento oggettivo si identifica con la ripetitività di un determinato comportamento nel tempo.
L’elemento soggettivo si identifica con la convinzione, da parte di coloro che pongono in essere tale comportamento, che esso sia obbligatorio.
Per consuetudine si intende, quindi, un comportamento costantemente ripetuto nel tempo dai membri di un gruppo sociale nella convinzione di osservare una norma giuridica o, comunque, nella previsione che anche gli altri assumano un comportamento analogo.
Le fonti - atto
Le fonti - atto si strutturano in maniera piramidale nella seguente maniera:
- La Costituzione e le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, che si pongono al vertice della piramide;
- Le fonti comunitarie, ossia i trattati istitutivi, i regolamenti, le direttive e le decisioni, si pongono, sebbene in modo diverso - come vedremo di qui a poco - al di sopra della legislazione nazionale e regionale;
- Le leggi statali e regionali (inclusi gli Statuti regionali) e gli atti normativi ad esse equiparate ( decreti-legge e decreti legislativi), unitamente al referendum abrogativo;
- I regolamenti statali e regionali;
- Statuti provinciali;
- Regolamenti provinciali;
- Statuti comunali;
- Regolamenti comunali.
La costituzione
La Costituzione è la legge fondamentale di uno Stato, l’atto che delinea le sue caratteristiche essenziali, descrive i valori e i principi che ne sono alla base, stabilisce l’organizzazione politica su cui si regge.
La Costituzione italiana è scritta in quanto si presenta come un documento redatto in forma solenne. Le Costituzioni non scritte, come quella britannica, si fonda su una serie di consuetudini e su testi parziali.
Altresì è votata, in quanto elaborata e approvata dalla Assemblea costituente nel 1947 ed entrata in vigore nel 1948. Le Costituzioni ottriate sono quelle concesse unilateralmente dal Sovrano, come lo Statuto Albertino del 1848.
La Costituzione italiana è rigida a causa della procedura aggravata di modifica della stessa, che vede un doppio passaggio alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, oltre che la necessità di una maggioranza particolarmente estesa per la sua approvazione, con possibilità di un referendum confermativo finale da parte del corpo elettorale. La Costituzione flessibile, invece, si caratterizza dalla possibilità di essere modificata da una legge normale.
Altra nota peculiare della rigidità è l’assegnazione solo alla Corte Costituzionale del potere di dichiarare incostituzionale le leggi in contrasto con essa.
Infine la Costituzione italiana è lunga, poiché in essa sono contenute non solo le norme afferenti l’organizzazione fondamentale dello Stato, ma anche il riconoscimento e la tutela delle libertà civili, i diritti politici ed economici.
La Costituzione, così come formulata e approvata, è qualificabile come formale in quanto si identifica con il documento in quanto tale, ossia con il documento normativo che si inserisce nella articolazione più alta del sistema delle fonti di diritto.
La costituzione c.d. materiale si sostanzia nel cambiamento sostanziale della Costituzione formale - senza alcun intervento sacramentalizzato attraverso le procedure previste dall’ordinamento - cagionato dai mutamenti dei rapporti e degli equilibri fra attori politici ed istituzionali, forze sociali ed economiche e in un determinato momento storico.
Le norme costituzionali possono essere suddivise in:
norme precettive: ad applicazione immediata e, quindi, giuridicamente vincolanti;
norme programmatiche, ossia ad applicazione differita necessitando dell’intervento del Legislatore e, pertanto, della adozione di una legge, di un decreto legge o di un decreto legislativo.
Leggi di revisione costituzionale.
Come è stato precedentemente detto, in attuazione del principio di rigidità, la Costituzione può essere modificata solo a seguito di una procedura legislativa aggravata disciplinata dall’art. 138 della Costituzione.
La revisione della Costituzione non può essere compiuta in relazione ad ogni sua parte, essendo fissati dei limiti, espliciti o impliciti, dalla stessa Carta Costituzionale.
L’art. 139 della Costituzione esplicitamente impone il divieto della revisione costituzionale della forma repubblicana.
Limiti impliciti sono l’immodificabilità di istituti fondamentali previsti da specifiche disposizioni costituzionali, come la libertà personale (art. 13), la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21), il diritto di riunione (art. 17) e di associazione (art. 18), diritto alla formazione di partiti politici e alla libera partecipazione ad essi (art. 49), la libertà di voto (art. 48), i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2).
La procedura legislativa aggravata per la revisione della Costituzione è la seguente:
a) La proposta di legge di revisione costituzionale deve essere discussa e approvata solo in Aula (a differenza del procedimento ordinario – come vedremo- che prevede anche la discussione e l’approvazione nelle Commissioni parlamentari competenti);
b) Occorrono due successive deliberazioni delle due Camere (Senato e Camera) a distanza l’una dall’altra almeno di tre mesi: prima deve essere approvata nello stesso testo da Camera e Senato (o viceversa); trascorsi almeno tre mesi lo stesso testo deve essere di nuovo approvato da Camera e Senato (o viceversa);
c) L’approvazione nella seconda deliberazione deve essere effettuata a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti della Camera e del Senato: la legge di revisione costituzionale è definitivamente approvata e viene promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana;
d) Nel caso l’approvazione nella seconda deliberazione sia compiuta con la maggioranza assoluta dei componenti della Camera e del Senato (cinquanta per cento più uno) occorre una fase ulteriore: 1) la legge non è approvata definitivamente ma viene pubblicata lo stesso sulla Gazzetta Ufficiale (pubblicazione anomala); 2) entro tre mesi dalla pubblicazione un quinto dei componenti di una Camera, 500.000 elettori o cinque Consigli regionali possono chiedere che la legge sia sottoposta a referendum popolare (referendum costituzionale); 3) se il referendum non venga richiesto il Presidente della Repubblica promulga la legge costituzionale che viene, poi, ripubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; 4) se il referendum è richiesto ed ha esito favorevole, il Presidente della il Presidente della Repubblica promulga la legge costituzionale che viene, poi, ripubblicata sulla Gazzetta Ufficiale;5) se il referendum è richiesto ed ha esito sfavorevole, la legge cessa il suo percorso e non sarà promulgata dal Presidente della Repubblica.
LE FONTI COMUNITARIE
Con l’adesione dell’Italia alla Unione Europea le categorie delle fonti di diritto si arricchisce con quelle emesse dalle Istituzioni Comunitarie e, segnatamente, con i regolamenti, le direttive, le decisioni, le raccomandazioni ed i pareri.
Regolamenti comunitari.
Il regolamento comunitario ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati Membri.
- Portata generale: il regolamento è destinato a produrre i propri effetti nei confronti di un numero indeterminato ed indeterminabile di destinatari (Stati Membri, persone fisiche e giuridiche operanti all’interno di essi) e le sue prescrizioni recano il carattere dell’astrattezza;
- Carattere della obbligatorietà in tutti i suoi elementi: ogni parte che compone il testo del regolamento si impone ai destinatari;
- Diretta applicabilità in ciascuno Stato Membro: tutti gli elementi dispiegano automaticamente i loro effetti negli Stati Membri al pari delle leggi nazionali, senza alcuna interposizione di atti normativi interni agli Stati stessi, riconoscendo diritti e imponendo obblighi direttamente ai singoli Stati e alle persone giuridiche e fisiche operanti in essi. I regolamenti non possono neanche essere oggetto del vaglio della Corte Costituzionale. I regolamenti comunitari entrano in vigore scaduti venti giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Unione Europea.
Direttive
La direttiva, a differenza del regolamento, vincola lo Stato membro a cui è rivolta al raggiungimento del risultato indicato dalla direttiva medesima, restando nella decisione degli organi dello Stato l’individuazione della forma e dei mezzi.
Le direttive vincolano, dunque, il singolo Stato in relazione al solo risultato da attingere, lasciando ferma l’autonomia dello stesso per quanto attiene la forma (ad esempio: una legge, un regolamento, un atto amministrativo generale) e, entro certi limiti, il contenuto dell’atto da recepire.
Decisione
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati.
Le decisioni sono atti aventi portata concreta , vincolanti per il destinatario, destinati ad uno Stato Membro o ad una persona giuridica specifica o ad una persona fisica determinata, efficaci a partire dalla loro notifica.
Raccomandazioni e pareri
Sono atti completamente sforniti di portata precettiva e vincolante.
Le raccomandazioni consistono in esortazioni e moniti diretti ai singoli Stati Membri emanate dalle Istituzioni comunitarie allo scopo di ravvicinare le legislazioni nazionali in un certo settore.
I pareri sono l’espressione di una opinione su una data questione emanata da un organo della Unione Europea su sollecitazione di altra Autorità comunitaria.
LE LEGGI ORDINARIE
Per leggi ordinarie si intendono gli atti deliberati dal Parlamento nel rispetto del procedimento disciplinato, nelle sue linee essenziali, dagli artt. 70 e seguenti della Carta Costituzionale e dai regolamenti parlamentari.
L’appartenenza al tipo “legge ordinaria” comporta l’assoggettamento a un regime giuridico peculiare, sinteticamente riassunto dall’espressione forza o valore di legge.
In particolare la legge:
· È idonea a modificare o abrogare, nell’ambito della sua competenza, qualsivoglia disposizione vigente, fatta eccezione per quelle di rango costituzionale;
· È i grado di resistere alla abrogazione e alla modificazione da parte di fonti ad essa subordinate;
· Può essere soggetta al controllo di conformità alla Costituzione e alle altre disposizioni di rango costituzionale soltanto da parte della Corte Costituzionale;
· Può essere sottoposta a referendum abrogativo ai sensi dell’art. 75 Cost.
Altresì per legge in senso formale si intendono quegli atti deliberati dalle due Camere o dai Consigli regionali o dai Consigli provinciali di Trento e Bolzano, secondo le procedure stabilite dagli artt. 75 e seguenti della Costituzione e dai regolamenti parlamentari per le leggi dello Stato, dagli Statuti regionali e dai regolamenti dei Consigli regionali per le leggi regionali e, infine, dallo Statuto regionale del Trentino-Alto Adige, dagli statuti provinciali e dai regolamenti dei consigli provinciali di Trento e Bolzano per le loro leggi provinciali.
Per leggi in senso materiale si intendono tutti gli atti a contenuto normativo, indipendentemente dagli organi che li pongono in essere e quale che sia il procedimento di loro formazione.
Riserva di legge
La Costituzione e le altre leggi costituzionali possono riservare determinate materie solamente alla disciplina della legge: il Legislatore deve regolare compiutamente i settori da disciplinare in modo da limitare la discrezionalità delle Autorità amministrative a cui è demandato il compito di attuare il dettato legislativo.
La riserva di legge, quindi, costituisce l’istituto con il quale le norme costituzionali attribuiscono in via esclusiva alla legge la disciplina di certi settori, sottraendoli alla competenza normativa dell’esecutivo e, riducendo sensibilmente il tasso si discrezionalità di quest’ultimo.
La riserva di legge può essere assoluta o relativa.
La riserva di legge assoluta esclude la possibilità di disciplinare alcune materie con fonti di grado secondario, lasciando tale determinazione solo alla legge (ad esempio: art. 13 Cost);
La riserva di legge assoluta può essere anche rinforzata, quando la Costituzione non solo demanda completamente la disciplina della materia alla legge, ma determina anche le linee che il Legislatore deve seguire nella adozione di essa (ad esempio: art. 16 della Costituzione che, nel demandare la disciplina della libertà di circolazione alla legge, indica a quest’ultima la possibilità di porre alcuni limiti ad essa per ragioni di sanità e sicurezza)
La riserva di legge relativa, in base alle quali l’intervento della legge è previsto solo per definire le caratteristiche fondamentali della disciplina, lasciando spazio alle fonti secondarie di intervenire per definirla compiutamente (ad esempio: art. 23 Costituzione).
Riserva di legge costituzionale: quando la materia è affidata a leggi costituzionali (ad esempio: artt. 71 e 116 Cost)
Riserva di assemblea: quando la legge può essere approvata solo in Aula e mai in forma decentrata, ossia in Commissione in sede legislativa.
La legge dispone per l’avvenire e, pertanto, vige la regola generale del principio della irretroattività, regola che è inderogabile in materia penale, in ragione dell’art. 25 della Costituzione che prevede: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prime del fatto commesso.
Procedimento di approvazione delle leggi
Sono tre le procedure di approvazione di una legge:
· procedura ordinaria, che si segue in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, di disegni di legge di conversione di decreti legge, le leggi rinviata dal Presidente della Repubblica e, infine, di approvazione di bilanci e consuntivi, vede le due fasi dell’esame preparatorio e della discussione e approvazione del testo affrontata davanti due strutture distinte: la Commissione e l’Aula
La fase preparatoria è quella istruttoria che si svolge innanzi la Commissione competente per materia in sede referente, che abbraccia tutte le attività dirette a consentire all’organo deliberante l’esame e l’approfondimento del progetto.
Compito delle Commissioni legislative permanenti, in sede referente, è pertanto quello di esaminare e riferire sui progetti di legge con una relazione alla Assemblea. Le Commissioni parlamentari (distinte fra di loro in base al settore trattato: giustizia, sanità, affari sociali, bilancio, etc) sono individuate in base alla materia o materie trattate dalla proposta di legge.
Al termine dell’esame del testo la Commissione prepara una relazione di maggioranza e una o più relazioni di minoranza, nonché nomina un relatore per l’Assemblea.
Cessato il lavoro della Commissione esaurita la fase istruttoria, il testo della proposta di legge passa all’Aula per la fase costitutiva, ossia per la discussione e la sua approvazione.
L’approvazione attiene prima ogni singolo articolo (con i relativi emendamenti e sub emendamenti) e, poi, il testo nel suo complesso. Devono essere presenti almeno la metà più uno dei componenti affinché le votazioni si svolgano regolarmente (c.d. quorum strutturale); la legge per essere approvata deve avere il voto favorevole della metà più uno dei presenti in Aula (c.d. quorum funzionale). Tale maggioranza si qualifica semplice, mentre sussiste la maggioranza assoluta quando è richiesta la metà più uno dei componenti l’assemblea e, la maggioranza qualificata quando sono previsti i due terzi o i tre quinti dei componenti dell’Assemblea.
Il testo approvato in una Camera ( Camera dei Deputati o Senato della Repubblica) passa all’altra camera. La proposta di legge si trasformerà in via definitiva in legge quando sarà approvato l’identico testo da entrambi i rami del Parlamento.
· Procedimento deliberante: la fase istruttoria e decisoria si svolge interamente dinanzi la Commissione parlamentare che siede, quindi, non in forma referente ma deliberante, nel caso sia posta all’attenzione di essa una proposta di legge non di portata generale.
· La Commissione competente per materia procede all’esame preliminare del progetto, alla sua discussione, alla votazione dei singoli articoli e, successivamente, a quella finale dell’intero testo. Il testo è approvato direttamente in Commissione e non passa in Aula.
· Una volta approvato la proposta di legge passa all’altro ramo del Parlamento, il quale lo approva non necessariamente in sede deliberante. Il testo può proseguire in quel ramo anche secondo la procedura ordinaria, prima in Commissione in sede referente, successivamente in Aula.
· Procedimento redigente.
Di rara applicazione, vede l’approvazione dei singoli articoli in Commissione, mentre il testo per intero viene approvato in Assemblea.
Fase integrativa della efficacia.
Al termine della c.d. navette, ossia del passaggio da un ramo all’altro del Parlamento e della approvazione nel medesimo testo della proposta di legge, la legge definitivamente approvata, al fine di produrre effetti ed entrare in vigore, deve percorrere alcuni ulteriori passaggi.
In primo luogo il Presidente della Repubblica è tenuto alla sua promulgazione entro un mese dalla approvazione definitiva del testo.
Il Presidente della Repubblica prima della promulgazione provvede, a mente dell’art. 74 della Costituzione, ad effettuare una verifica della legittimità costituzionale formale e sostanziale del testo. Il controllo formale riguarda la correttezza della procedura adottata per la formazione della legge, mentre il controllo sostanziale deve verificare che non vi sia un contrasto con il dettato della Carta Costituzionale.
Se non rileva nulla il Presidente della Repubblica procede alla promulgazione, mentre se individua un vizio di natura sostanziale o formale rinvia il testo alla camera che ha approvato il testo definitivo, unitamente ad un messaggio ove evidenzia i vizi individuati.
Il Parlamento può accogliere i rilievi del Capo dello Stato approvando nei due rami del Parlamento il testo modificato, ovvero approvando lo stesso testo, senza il recepimento delle contestazioni formulate nel messaggio, a maggioranza assoluta dei membri dei due rami del Parlamento.
In entrambe le ipotesi il Presidente della Repubblica promulga la legge, non potendo più compiere alcun ulteriore rinvio al Parlamento.
Promulgata la legge il Ministro della Giustizia ( chiamato per tale motivo Guardasigilli) è tenuto ad accertare che l’atto non presenti irregolarità formali, apponendo il proprio visto sull’atto, oltre il sigillo dello Stato per garantirne l’autenticità; cura, altresì, l’inserzione della legge in originale nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana: Tale documento costituisce il testo ufficiale per il confronto con tutti gli altri testi legislativi di identico contenuto.
Infine, sempre il Ministro della Giustizia ha il compito di provvedere alla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, per consentirne la conoscenza ai tutti i destinatari. La pubblicazione deve avvenire entro trenta giorni dalla promulgazione e la legge entra in vigore, salvo anticipazioni o posticipazioni previste dalla legge stessa, trascorsi quindici giorni dalla pubblicazione medesima.
GLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE: DECRETI LEGISLATIVI E DECRETI LEGGE
La funzione legislativa a livello nazionale, in base all’art. 70 della Costituzione e nel rispetto del principio della separazione dei poteri, è attribuita al Parlamento. Esistono tuttavia delle circostanze che possono giustificare l’emanazione di atti normativi di rango primario anche ad opera del Governo.
E’ il caso di materie che richiedono una specializzazione tecnica e un insieme di conoscenza che i parlamentari non possono possedere, oppure di situazioni che vanno fronteggiate con una tempestività che una Assemblea come il Parlamento non è in grado di assicurare.
Tali circostanze sono disciplinate dagli artt. 76 e 77 della Costituzione. In base alla prima disposizione l’esercizio della funzione legislativa può essere delegato al Governo, purché ciò avvenga con legge e nel rispetto di alcune precise condizioni (decreti legislativi); in base alla seconda disposizione , invece, il Governo può, di sua iniziativa e sotto la propria responsabilità, fronteggiare casi straordinari di necessità e di urgenza mediante provvedimenti provvisori aventi forza di legge, che vanno necessariamente convertiti in legge, pena la perdita della loro efficacia sin dalla loro emanazione (decreti legge).
In realtà la funzione legislativa primaria rimane al Parlamento che, nei casi di decreti legislativi, con approvazione della legge delega per legittimare il Governo alla loro emanazione; nel caso dei decreti legge essi debbono tornare al Parlamento per essere convertiti in legge, a pena della loro decadenza e inefficacia a far data dalla loro adozione in seno al Consiglio dei Ministri.
Decreti legislativi
L’art. 76 della Costituzione consente al Parlamento di delegare con legge (legge delega) l’esercizio della funzione legislativa al Governo nel suo complesso.
Lo stesso articolo precisa che tale delega può essere attribuita solo alle seguenti condizioni:
· Con determinazione di principi e criteri direttivi;
· Per un tempo limitato;
· Per oggetti definiti.
La legge delega può indicare ulteriori paletti oltre a quelli fissati dall’art. 76 della Costituzione, ossia:
· Può imporre al Governo di ascoltare il parere delle Commissioni parlamentari competenti nel merito della materia che dovrà essere disciplinata dal decreto legislativo:
· Recepire il contenuto di precedenti atti non legislativi.
Non tutte le materie possono essere oggetto di delega.
Non possono essere delegate materie di rilievo costituzionale che solamente con legge costituzionale e, quindi, mediante procedura legislativa aggravata, possono essere approvate.
Invece può essere delegato al Governo il potere di emanare decreti legislativi in materie coperte da riserva assoluta di legge (parimenti il Governo sulle stesse materie può emanare decreti legge).
I decreti legislativi sono deliberati a maggioranza dal Consiglio dei Ministri ed emanati con Decreto del Presidente della Repubblica.
I decreti legislativi, come i decreti legge, essendo equiparati in tutto e per tutto alle leggi approvate dal Parlamento, possono essere oggetto di valutazione da parte della Corte Costituzionale.
Le materie disciplinate dai decreti legislativi sono caratterizzate dalla loro complessità: basti pensare alle materie riguardanti sostanze stupefacenti, o l’ immigrazione, o le stesse riforme dei codici, come quello di procedura civile o del processo amministrativo ( decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104).
Decreto legge
I decreti legge sono atti normativi che possono essere adottati dal Governo per far fronte a situazioni imprevedibili che impongono di intervenire a livello di normazione primaria con una disciplina che provi immediata applicazione.
A tale proposito l’art. 77 della Costituzione recita: “Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la propria responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere…..I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione…”
I decreti leggi, al pari dei decreti legislativi, sono deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati con Decreto del Presidente della Repubblica. Devono contenere specificatamente l’indicazione delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che hanno determinato la loro emanazione. I decreti legge sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale immediatamente dopo la loro emanazione ed entrano in vigore il giorno stesso della pubblicazione, producendo effetti fino alla loro ratifica da parte di entrambi i rami del Parlamento che li convertono in legge: una volta convertiti in legge gli effetti faranno capo a quest’ultima. Nel caso di mancata conversione in ragione della scadenza del termine di sessanta giorni senza che il Parlamento si sia pronunciato, ovvero perché il Parlamento abbia deliberato contro di essa, il decreto legge perde efficacia ex tunc, ossia dalla sua emanazione. Il Parlamento può, a tale proposito, approvare una legge che sani le situazioni che nel frattempo si sono venute a determinarsi, vigente il decreto legge non convertito.
L’art. 77 della Costituzione sancisce che i decreti legge hanno l’obbligo di essere presentati alle Camere (in genere in prima battuta sono presentati al Senato della Repubblica), per la conversione in legge, nel giorno stesso della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale: entro cinque giorni da tale data le Camere, anche se sciolte, si devono riunire per l’esame del decreto.
La conversione del decreto legge – come più volte detto – deve avvenire entro sessanta giorni: in caso contrario essi perdono efficacia sin dall’origine.
Il controllo sulla sussistenza dei casi straordinari di necessità e di urgenza, che giustificano l’uso del decreto legge, può essere esercitato mediante tre diverse modalità:
· Dal Presidente della Repubblica , in via preventiva, ossia prima che egli emani il provvedimento;
· Dal Parlamento e, segnatamente, in prima analisi dalla Commissione parlamentare permanente per gli Affari Costituzionali e, in seconda analisi, dalla Assemblea;
· Dalla Corte Costituzionale nel caso il decreto legge sia prontamente portato innanzi ad essa per il vaglio di legittimità costituzionale.
Mentre nelle prime due ipotesi la verifica dei requisiti di necessità ed urgenza è obbligatoria per il tramite del necessario passaggio al Presidente della Repubblica e poi al Parlamento, l’intervento della Corte Costituzionale può avvenire solo se richiesto dalla Autorità Giudiziaria dinanzi alla quale si svolge il processo ove l’applicazione del decreto legge è invocata, ovvero dalle stesse parti processuali che vi partecipano, oppure dalle Regioni che ritengono violata la proprio potestà legislativa.
I motivi di necessità e di urgenza debbono sussistere anche nella ipotesi in cui il Governo ritenga opportuno procedere alla reiterazione del decreto legge, ove esso non sia convertito entro i sessanta giorni costituzionalmente previsti.
In passato difficilmente le camere riuscivano a rispettare tale termine, specie per le divisioni in seno alle maggioranze politiche. Di fronte alla inerzia del Legislatore il Governo aveva cominciato a riprodurre in nuovi decreti legge il contenuto dei decreti non convertiti nei sessanta giorni.
La reiterazione dei decreti legge aveva assunto dimensioni preoccupanti a causa del fenomeno di provvedimenti normativi di urgenza reiterati anche venticinque volte. La provvisorietà tipica del decreto legge veniva a cessare e i requisiti di necessità e di urgenza perdevano di consistenza.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 360 del 1996 ha sancito la illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 77 della Costituzione di un decreto legge reiterato, ogniqualvolta la sua reiterazione si basi sulla mera riproduzione del contenuto del decreto precedente non convertito senza alcuna variazione sostanziale, oppure il decreto reiterato non si fondi su autonomi motivi straordinari di necessità e di urgenza.
IL REFERENDUM ABROGATIVO
Il referendum è il più importante istituto di democrazia diretta. Grazie ad esso i cittadini possono esprimere il loro parere direttamente, senza la mediazione del Parlamento.
L’ordinamento italiano prevede i seguenti tipi di referendum:
· Abrogativo: disciplinato dall’art. 75 Cost., volto ad abrogare in tutto o in parte una legge o un atto avente forza di legge;
· Costituzionale: quando, durante la procedura di revisione costituzionale, in seconda deliberazione non venga raggiunto il quorum dei due terzi e il referendum sia richiesto per approvare il contenuto della riforma costituzionale (art. 138 Cost);
· Territoriale: in caso di modificazione territoriali di Regioni, Province e Comuni (art. 132 Cost);
· Consultivo: ammesso soltanto a livello regionale e locale, quando sia previsto dagli Statuti regionali, provinciali e comunali.
Solo il referendum abrogativo di una legge o di una parte di essa può essere considerata una autonoma fonte di diritto.
Esso dispone della capacità di innovare il diritto oggettivo in negativo, in quanto abroga disposizioni preesistenti di legge o di atti aventi forza di legge.
La Corte Costituzionale con decisione 29/1987 ha definito il referendum conclusosi con esito favorevole all’abrogazione un “atto-fonte dell’ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria”.
Il referendum può abrogare solo leggi dello Stato, decreti legge e decreti legislativi, mai regolamenti, inclusi quelli comunitari, oppure leggi regionali.
Non tutte le leggi o atti normativi ad esse equiparate possono essere abrogate.
L’art. 75 della Costituzione impedisce l’uso di tale strumento quando esso andrebbe ad incidere su leggi tributarie o di bilancio, di amnistia o di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
La Corte Costituzionale, che ha il compito di verificare la legittimità dei requisiti referendari e, quindi, la ammissibilità dei referendum, ha ampliato sensibilmente la latitudine di leggi che non possono essere oggetto di referendum: leggi a contenuto comunitariamente vincolante, leggi che incidono sulle norme che disciplinano l’elezione di organi costituzionali o a rilevanza costituzionale, oppure quesiti referendari non omogenei, non chiari, non semplici e incompleti: tali quesiti coinvolgono una tale pluralità di disposizioni della stessa legge o di diverse leggi fra di loro non collegate, afferenti diverse materie ed argomenti, da determinare una confusione di non poco momento nel potenziale corpo elettorale.
La procedura referendaria è la seguente:
· fase della iniziativa: 500.000 elettori o cinque Consigli Regionale possono chiedere la abrogazione di tutta o parte di una o più leggi. Nel caso di iniziativa popolare la richiesta di promovimento della raccolta delle firme deve essere presentata alla Corte di Cassazione. I Comitati referendari procedono alla raccolta di almeno 500.000 firme fra gli elettori con almeno diciotto anni. Le firme debbono essere raccolte entro tre mesi dalla presentazione della istanza alla Corte di Cassazione e, depositate presso di essa, titolare del compito di verificarne il numero e la legittimità
· Dopo il controllo di legittimità delle firme posto in essere dalla Corte di Cassazione, la Corte costituzionale effettua la verifica di legittimità costituzionale dei quesiti, ossia se ineriscono le leggi escluse dall’art. 75 della Costituzione, ovvero risultano essere disomogenei, non chiari, non semplici o incompleti. In tali evenienze dichiarerà la inammissibilità del referendum, nel caso contrario lo ammetterà;
· Nel caso di ammissione il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e su proposta del Ministro dell’Interno, indice il referendum, che si ritiene approvato se la metà più uno del corpo elettorale esprime il proprio consenso al quesito referendario; si ritiene respinto nel caso contrario;
· Nel caso il referendum venga respinto se ne fornisce la semplice notizia nella Gazzetta Ufficiale, con il divieto di presentare lo stesso quesito referendario entro i successivi cinque anni;
· Nel caso il referendum sia accolto il Presidente della Repubblica dichiara con proprio decreto l’avvenuta abrogazione della legge oggetto del referendum, con effetto dal giorno successivo della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Tale abrogazione può essere rinviata di sessanta giorni, sempre con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno, quando il Parlamento (o il Governo se interviene con decreto legge) si debba pronunciare con una legge per sopperire alle conseguenze della abrogazione causata dall’approvato referendum.
LE FONTI DI GRADO SECONDARIO. I REGOLAMENTI
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, i quanto emanati da organi del potere esecutivo, aventi però forza normativa (sostanzialmente normativi), i quanto contenenti norme destinate a innovare l’ordinamento giuridico.
Caratteri dei regolamenti, al pari delle norme di tipo primario (leggi del Parlamento, decreti legge e decreti legislativi del Governo), sono la generalità (intesa come indeterminabilità dei soggetti destinatari), l’astrattezza (intesa come capacità di regolare una serie infinita di casi) e l’innovatività (intesa come capacità di concorrere a costituire e innovare l’ordinamento giuridico, ossia ad immettere nuove norme nel tessuto ordinamentale).
Fondamento della potestà regolamentare è la legge che è la sola fonte cha può attribuire al potere esecutivo (Governo nel suo insieme a ai singoli Ministri) la potestà di adottare strumenti normativi di grado secondario.
I regolamenti si classificano in base all’organo che ha la competenza ad emanarli in regolamenti governativi, interministeriali , ministeriali, regionale, provinciali o comunali; in base al loro contenuto in:
· Regolamenti di esecuzione, destinati a specificare una disciplina di rango legislativo (leggi o decreti legislativi) con norme di dettaglio. Sono gli unici ammessi ad operare in seno alla riserva assoluta di legge;
· Regolamenti di attuazione e di integrazione, volti a completare la trama di principi fissati da leggi e decreti legislativi in ambiti coperti solamente da riserva relativa di legge;
· Regolamenti indipendenti, quando il Parlamento autorizza il Governo a disciplinare con regolamento materie non coperte da riserva assoluta o relativa di legge e, su cui ancora non esiste alcun tipo di regolazione.
· Regolamenti di organizzazione, aventi ad oggetto il funzionamento delle articolazione e degli apparati delle Pubbliche Amministrazioni, nel rispetto dell’art. 97 della Costituzione;
· Regolamenti di delegificazione, categoria comprensiva di tutti quei regolamenti che superano i limiti cui è soggetta la potestà normativa del Governo, derogando a singole disposizione di legge , abrogando intere discipline di rango legislativo, intervenendo in materie coperte da riserve relative di legge. Il regolamento di delegificazione, emanato dal Governo su autorizzazione del Parlamento, si sostanzia in un provvedimento di secondo grado disciplinante specifici ambiti in luogo della legge, in materie non soggette a riserva assoluta di legge. Ancora più esplicitamente il regolamento di delegificazione interviene in materie che, o non erano ancora state ancora disciplinate dalla legge ovvero lo erano e cessano si esserlo dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo. Talora è la stessa legge, che autorizza il Governo ad emanare il regolamento di delegificazione, a disporre che sia il provvedimento di grado secondario ad individuare le disposizioni di fonte primaria da abrogare;
· Regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie, autorizzati dalla legge comunitaria che annualmente il Parlamento nazionale approva al fine di recepire le direttive che nello stesso arco di tempo le Istituzioni comunitarie hanno emanato: la legge comunitaria autorizza il Governo ad approvare regolamenti che attuino le direttive in materie già disciplinate dalla legge ma ad essa non riservate.
L’ordinamento pone dei limiti tassativi alla potestà regolamentare. In particolare:
a) non possono mai derogare o contrastare con la Carta Costituzionale, né con i principi in essa contenuti;
b) non possono derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che la legge di autorizzazione alla attività regolamentare di delegificazione non lo consenta;
c) non possono mai regolare materie riservate dalla Costituzione alla legge (ordinaria o costituzionale);
d) non possono mai derogare al principio di irretroattività della legge, mentre la legge, salvo nella materia penale, può farlo;
e) non possono mai contenere sanzioni penali, in forza dell’art. 25 della Costituzione;
f) non possono mai contrastare regolamenti emanati da organi gerarchicamente superiori, come nelle ipotesi di regolamenti ministeriali in contrasto con regolamenti governativi;
g) i regolamenti statali non possono regolare materie assegnate dalla Costituzione (art.117) alla potestà esclusiva o concorrente delle Regioni.
I regolamenti, che non necessitano di una motivazione, sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato e, emanati dal Presidente della Repubblica dopo avere ricevuto il vaglio positivo della Corte dei Conti che li ha vistati e registrati.
LE FONTI REGIONALI
L’attuale sistema delle fonti risulta caratterizzato dalla presenza di numerosi centri di produzione normativa. Tra questi rientrano le Regioni, cui la Costituzione attribuisce il potere di darsi una disciplina che regola la propria organizzazione ed il proprio funzionamento attraverso l’approvazione dello Statuto (autonomia statutaria), che risulta essere una sorta di costituzione locale; il potere di emanare atti, quali le leggi regionali, capaci di innovare il diritto oggettivo (autonomia legislativa) e il potere di darvi esecuzione per il tramite della approvazione di regolamenti regionali (autonomia regolamentare).
Particolare attenzione deve essere prestata al potere legislativo regionale, che è stata sensibilmente incrementato per qualità e quantità dalla riformulazione del titolo V della Costituzione apportata dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3.
L’art. 117, così come modificato dalla riforma del 2001, attribuisce alle Regioni la potestà di approvare leggi regionali, con la stessa efficacia delle leggi dello Stato ( ossia quelle approvate dal Parlamento), con il solo limite territoriale, provocandosi i loro effetti all’interno dei confini della Regione stessa.
Alla luce della novella del 2001 l’art. 117 della Costituzione riconosce tre generi di potestà legislativa:
· esclusiva dello Stato: l’art. 117 elenca tassativamente le materie di esclusiva competenza legislativa dello Stato (Parlamento per le leggi ordinarie; Governo per i decreti legge e i decreti legislativi);
· concorrente o bipartita: l’art. 117 elenca tassativamente le materie di spettanza delle Regioni, salvo demandare allo Stato (Parlamento e Governo) la determinazione dei principi fondamentali a cui le Regioni si debbono attenere nel normare;
· esclusiva delle Regioni: tutte le materie che, in via residuale, non sono ascrivibili agli elenchi della potestà esclusiva dello Stato e concorrente delle Regioni, spettano alla competenza legislativa esclusiva di queste ultime. Sino alla riforma del 2001 tale tipo di potestà era propria unicamente delle Regioni a Statuto Speciale( Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia): dalla riforma in poi anche le Regioni a statuto ordinario possono e debbono liberamente legiferare con potestà esclusiva, escludendo qualunque vincolo introdotto con legge dello Stato, anche di semplice indirizzo e coordinamento. Unici limiti a tale potestà derivano dalle disposizioni costituzionali, comunitarie ed internazionali e dai loro rispettivi principi.
FONTI LOCALI
Secondo il nuovo testo dell’art. 114 della Costituzione anche i Comuni, le Province e le Città metropolitane debbono dotarsi di uno Statuto, parimenti alle Regioni, Statuti che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento di questi enti locali.
La Costituzione, in virtù dell’art. 117, comma 6, ha riconosciuto anche ai citati enti locali la potestà regolamentare, che può essere esercitata in ordine alla disciplina della organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalle leggi statali e regionali.
I consigli provinciali delle province autonome di Trento e Bolzano hanno la potestà legislativa esclusiva nelle materie indicate nello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige (che, come gli altri statuti delle Regioni speciali, è stato approvato con legge costituzionale) e dai rispettivi Statuti provinciali: i Consigli provinciali in parola, al pari del Parlamento e dei Consigli Regionali, possono approvare leggi.
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