"Babylon” di Damien
Chazelle: l’evocazione biblica del titolo riassume compiutamente il senso caotico
del film. L’ouverture richiama quella de “La grande bellezza” di Paolo
Sorrentino, seppur in versione di baccanali orgiastici, mentre la storia si snocciola
lungo tracciati surreali, grotteschi, crudi, alcune volte sgradevoli alla
vista. Il mondo del cinema statunitense degli anni ’20, ’30 e ’40 è travolto
dal passaggio dal muto al sonoro e dal bianco e nero al colore. Lo star system
e le vecchie glorie sono espulsi dalle Luci della ribalta, opera di Charlie
Chaplin sottolineata con una manciata di fotogrammi, che fornisce un sentore
agro-dolce come solo il contrasto della poetica mestizia di Chaplin con la virulenza
artistica di Chazelle può produrre.
Il
suicidio è la tragica quanto naturale conseguenza in un trancio di umanità nel quale
l’apparire è l’alfa e l’omega.
La complessità
è l’autentica trama di questa pellicola, spudorata e disturbante, laddove
dietro il luccichio del set v’è l’abisso infernale, le bolge dantesche dove
tutti (tranne uno) precipitano. La discesa
agli inferi richiama “The Wolf of Wall Street” di Martin Scorsese, anche se in “Babylon”
tutto è accentuato e forzato, tanto da potersi accostare le raffigurazioni degli
spazi, dei volti e degli atteggiamenti corporei e psichici alle rappresentazioni
pittoriche terrifiche e oniriche di Bosch e Bruegel.
Le
tecniche cineastiche e le immagini sono perfette. La narrazione - incisiva,
brutale, dura e ritmata da un assordante swing e jazz - insiste
sulla naturale ferocia regnante nelle riprese sceniche, durante le quali i morti
sono solo effetti collaterali. L’ossessione per la perdita dello scettro della
fama devasta le esistenze dei protagonisti, a partire da quelle di Jack Conrad
(Brad Pitt) e Clara Bow (Margot Robbie).
Il set
cinematografico come metafora della ambientazione entro cui sono calate le nostre
vite, la pornografia mentale e morale, che governa la coralità delle “marionette”
saltellanti sul palcoscenico, è la medesima di quella di tanti comuni mortali che
impegnano il tempo a trotterellare e sgambettare per riempire le proprie vite
vuote con altro vuoto.
I Premi Oscar fioccheranno anche se le tre ore di proiezione non sono agevolmente
digeribili.
Fabrizio
Giulimondi
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