“Bianca come il
latte, rossa come il sangue”, film assolutamente da vedere, altamente
consigliato agli adolescenti, ragazzi,
fanciulli, giovani e chi più ne ha più ne metta. Tratto dal romanzo omonimo di
Alessandro D’Avenia (Mondadori, 2010) e molto ben diretto da Giacomo Campiotti, parte come uno dei
tanti film giovanilisti stile “Notte
prima degli esami”, per poi trasformarsi
all’improvviso in una pellicola drammatica
di alto valore morale e valoriale: riprende, modernizzandolo, il filone cinematografico tragico - che ha visto il suo
apice nei primi anni settanta – in cui la protagonista al termine muore di
grave malattia.
Leo è uno dei tanti sedicenni, un po’ sfigato, già disilluso sul proprio futuro, disinteressato della scuola,
innamorato della compagna,
inavvicinabile nella sua aurea di
bellezza. Il triangolo è sempre lo stesso: lui ama la bella sconosciuta e parla
sempre di lei alla propria amica di
infanzia, che in realtà stravede per lui. Lui chiede aiuto a lei perché possa aiutarlo
ad avvicinarlo all’amata, tentativo fallimentare perché l’amica del cuore (per lui) si
impegnerà – con l’inganno –ad impedirlo.
Tutto scorre liscio come l’olio, finché la bella dai capelli rossi e la pelle
pallida non si ammala di una forma devastante di leucemia.
Tutto cambia: il cazzeggio
finisce e il sedicenne con i suoi amici si impattano con la
Malattia , la
Morte , la
Sofferenza , la
Paura , Dio (parola che scritta sul cellulare con il sistema
di digitazione T9 è Fin e, quindi, non esiste). Morire a sedici anni non è accettabile e non lo è a
maggior ragione per uno che ama. Il sedicenne innamorato e un po’ sfigato non rientra fra quelli descritti dalla pulviscolare moltitudine di
libri e film progressisti e politicamente corretti sui “giovani d’oggi”, tutti
centri sociali, impegno politico (ovviamente di un certo tipo) e scopate. Il protagonista ama davvero e
non v’è una sola scena di sesso, ma solo inquadrature che mostrano una
commovente dedizione a lei (di lacrime
dai Vostri occhi ne usciranno a profusione).
Leo è terrorizzato degli aghi ma offrirà se stesso (v’è qualche cosa di
più bello che offrirsi per il proprio Zahir?) per la donazione del midollo
osseo, e donerà tutto il tempo a lei e studierà seriamente, perché così lei gli ha chiesto. Leo scoprirà
molte cose insieme ai suoi amici e, grazie
alla bella dai capelli rosso fuoco e la
pelle bianca, troverà un amore tenero e pulito nella sua amica di infanzia, brava a scuola e legata
alla famiglia.
Vedetelo, perché il regista affronta temi difficili per i quali vi sono insolute domande e parla in maniera non banale della malattia e
cosa v’è dietro la parola FIN. Il professore, seppur giovane, non è travolto dalla superficialità del Nulla imperante e fa l’
educatore anche conducendo sul ring Leo per un incontro di boxe, così che possa sfogarsi e tirare fuori la propria disperazione, l’angosciante buio che ha
dentro, perché la vita è come un
incontro di pugilato.
In questo lavoro cinematografico non c’è l’asfissiante assenza di valori
imposta dalla violenza del relativismo etico: il dramma è vivisezionato per conto di una
determinata ottica e la visuale
dell’Autore propone ai ragazzi una prospettiva, che poi è una speranza! La morte non porterà alla disperazione ma a una
riconciliazione, a un delicato bacio fra sedicenni, ad un abbraccio tra ex
bulli, a una festa insieme ad amici
ritrovati al ritmo dei brani dei Modà e di Andrea Guerra, le cui musiche sono perfette
colonne sonore di un’ opera che dovrebbe essere proiettata in tutte le
scuole medie superiori d’Italia.
Complimenti a tutti gli attori, protagonisti, coprotagonisti e non, sino
alle comparse, tutti bravissimi, da Flavio Insinna, a Luca Argentero (il
professore), a Filippo Scicchitano (Leo, già interprete in Scialla), ai volti meno noti
- per ora - ma egualmente straordinari, del
nuovo cinema italiano.
ANDATECI!!!
Fabrizio Giulimondi
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