“Il figlio dell’altra” (Le fils de l’autre)
film suggestivo e non scontato della registra francese, nota autrice di teatro,
Lorraine Lev.
Due ragazzi, uno è israelita e vive
a Tel Aviv; l’altro è un palestinese della Cisgiordania.
L’esame del gruppo sanguigno dei giovani rileva, al raggiungimento della
maggiore età di entrambi, la loro non
appartenenza alle proprie famiglie.
Il primo in realtà è musulmano e
palestinese perché il suo nucleo familiare originario è quello dell’altro, mentre
il secondo in realtà è ebreo, provenendo biologicamente dalla prima famiglia.
Il giudeo invero arabo è stato
cresciuto da un colonnello dell’esercito israeliano e si accingeva, prima di
ricevere la novella, ad entrare
anch’egli nella fanteria per combattere il terrorismo islamista; il palestinese
invero figlio di Davide ha un
fratello “putativo” che odia visceralmente gli “occupanti sionisti”.
La scoperta da parte delle rispettive
gens della verità provoca fatalmente una trauma, una spaccatura,
una frattura al loro interno, le cui conseguenze di natura personale, gli
effetti psicologici e i risvolti di
natura etnico – religiosi sostanziano la trama della pellicola, che si conclude
con un venticello primaverile di speranza: prima le “madri”, poi le sorelle e, infine, gli ossi più duri,
l’ ”apparente” fratello e i “padri”, si
avvicineranno sempre più l’uno a l’altro, simbolica rappresentazione della
pacificazione e della osmosi di due
Popoli che si massacrano dal 1948.
La sala cinematografica sarà
lungamente percorsa da vibrazioni di odio, l’odio che infetta l’anima, la mente e il cuore di quelle
Genti. Il racconto mostra l’ottusità e l’aspra contrapposizione fra uomini e
donne cagionate dalla presenza di pieghe
estremistiche nei discendenti di Abramo e Maometto: tutto d’un tratto quello
che era un figlio e un fratello che aveva convissuto sotto lo stesso tetto per
diciotto anni, in comunione di affetti e di spirito, cessa di essere figlio e
fratello perché l’uno non più israelita ed ebreo, ma palestinese ed islamico, l’altro
non più palestinese ed islamico, ma israelita ed ebreo.
E’ la lontananza o la vicinanza a
questa realtà tossica che determina un
diverso approccio ad essa dei protagonisti di questa potenzialmente storia vera:
il figlio “erroneamente” arabo ha frequentato le scuole superiori a Parigi e il
suo “essere” non è del tutto infarcito di rancore e malanimo avverso la stella di Davide, diversamente dal
“presunto” fratello, che ne ha respirato tutta la velenosità, arrivando ad
inserire persino l’incolpevole “finto” consanguineo nella cerchia dei semiti da disprezzare, nonostante
che i due avessero avuto, sino al momento della “rilevazione”, un forte vincolo affettivo e di complicità.
Fabrizio Giulimondi
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