martedì 16 aprile 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: A PROPOSITO DELLA ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO!


L’ abc SULLA ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

A norma dell’art. 83 della Costituzione, il Presidente della Repubblica  è eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato da tre delegati per ogni Regione (a statuto ordinario e speciale) eletti dai rispettivi Consigli Regionali,  nel rispetto delle minoranze politiche (due alla maggioranza ed uno alla minoranza). Avendo la Valle d’Aosta un solo delegato, il numero complessivo delle espressioni regionali  - che si aggiungono ai senatori eletti e a vita (ex Presidenti della Repubblica  e nominati ai sensi dell’art. 59, comma 2, Cost.) e ai deputati -  pertanto ammonta a  cinquantotto unità.
L’elezione ha luogo a scrutinio segreto ed a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti l’Assemblea (Parlamento con funzioni elettorali in seduta comune integrato dai rappresentanti delle Regioni), proprio per la necessità che il Capo dello Stato sia eletto dal più gran numero di parlamentari e dei nunci regionali e, quindi, dalle varie anime politiche, culturali   e partitiche italiane, essendo il Presidente della Repubblica il rappresentante della unità nazionale (art.87 Cost.).
Solamente dal quarto scrutinio in poi è sufficiente la maggioranza assoluta, ossia il 50 per cento più uno dei componenti del Parlamento in seduta comune integrato nel modo sopra evidenziato: inevitabile la conseguenza di un Capo dello Stato con una statura istituzionale e di moral suasion di minor cabotaggio.
I Padri Costituenti hanno optato per un tipologia di sistema elettorale indiretto, per il tramite del Parlamento, organo rappresentativo del Popolo italiano, rifiutando il percorso elettorale vigente in altri ordinamenti (seppur sensibilmente diversificati fra di loro) come quello statunitense (presidenzialismo puro) e francese (semi presidenzialismo), nei quali il Presidente  viene votato direttamente dal Popolo (negli Stati Uniti attraverso la  elezione dei Grandi elettori in ogni Stato membro).
Tale scelta è indubbiamente più coerente alla forma del Governo parlamentare (Parlamento con funzioni legislative conferente  la fiducia al Governo, tributario di competenze esecutive e, talora, normative), mentre una maggiore consonanza della elezione diretta del Capo dello Stato è con quei statuti  ordinamentali che assegnano a quest’ultimo poteri  di ordine  politico interno ed internazionale, nonché  creatori di  diritto.
A tale riguardo  v’è un vivace e annoso  dibattito politico, culturale, dottrinario e massmediatico su un eventuale mutazione genetica della nostra intelaiatura costituzionale, nascente dall’inserimento nella nostra Grundnorm della elezione diretta del  Presidente della Repubblica, che condurrebbe fatalmente  ad una   innovata qualificazione del Governo da parlamentare a presidenziale (o semi-presidenziale a seconda del diverso atteggiarsi delle modifiche costituzionali che sarebbero apportate  in subiecta materia).
Negli anni 1946 e 1947 tale concezione politologica statuale fu reietta perché vista come foriera di pericoli per la democrazia, vista l’esperienza del ventennio precedente: un Capo dello Stato eletto direttamente dal corpo elettorale, con pieni poteri politici, esecutivi e legislativi, ha fatto tremare le vene ai  polsi della Assemblea costituente, che ha virato convintamente per un Parlamento centrale nello schema costituzionale, per un sistema di fonti legicentrica e un Governo con un Presidente del Consiglio titolare di una apparente supremazia sui Ministri, ma in realtà  primus inter pares con i medesimi (del tutto differente dal  premierato britannico in cui il Prime Minister  ha poteri, fra i tanti,  di nomina  e revoca dei ministri) e, in conclusione, per  un Presidente della Repubblica “simbolo” della Nazione, con scarsi poteri effettivi (previsti agli artt. 59, comma 2, 87, 92, 104, 135 Cost.).
I requisiti dell’elettorato passivo sono pochi e semplici: essere cittadino italiano, avere compito cinquanta anni e godere dei diritti civili e politici. Esclusione era espressamente  sancita nell’art. XIII delle “Disposizioni transitorie e finali” della Costituzione per i discendenti della famiglia reale Savoia: ”I membri  e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive”, ma la legge costituzionale 23 ottobre 2002, n. 1 ne ha dichiarato l’inefficacia.
La  durata dell’incarico è di sette anni il cui  dies a quo parte dalla prestazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione innanzi al Parlamento in seduta comune, a mente dell’art. 91 Cost.
Il lungo periodo del mandato trova la sua giustificazione nel ruolo super partes di moderatore ed  equilibratore delle diverse e contrapposte istanze politiche del Presidente della Repubblica, non essendo vincolato ad alcuna  specifica pars politica.
La Costituzione non pone divieti alla sua rieleggibilità, non essendo mai state approvate le due proposte di legge costituzionale del 1963 e 1968. La vita istituzionale del dopoguerra, però, non ha mai visto realizzarsi questa ipotesi, anche per la età avanzata raggiunta al termine del mandato dai Capi di Stato sino ad ora eletti, fino a questi giorni, con la rielezione alla sesta seduta con un ampia maggioranza dei "Grandi Elettori" di Giorgio Napoletano (20 aprile 2013).
La convocazione del Parlamento in seduta comune (che nella evenienza che stiamo vivendo in questi giorni è composto da 1007 elettori: 630 deputati; 315 senatori eletti; 4 senatori a vita; 58 delegati delle Regioni) è compiuta dal Presidente della Camera trenta giorni prima del giorno della scadenza del settennato che, come abbiamo poc’anzi detto, incomincia a far data dal pronunzia del solenne giuramento).
L’Aula che ospita la procedura elettorale è quella della Camera dei Deputati(Palazzo di Montecitorio) ed è disciplinata dal suo Presidente, accanto al quale siede quello del Senato della Repubblica. Per garbo istituzionale il cerimoniale riserva  319 posti ai senatori in quanto ospiti e componenti  della “Camera Alta”.
In ordine, prima votano i senatori a vita, poi i senatori eletti, successivamente i deputati e, infine, i delegati regionali.
“Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.”. (art. 85, comma 3).

Prof. Fabrizio Giulimondi



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