L’ abc SULLA ELEZIONE DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
A norma dell’art. 83 della Costituzione, il Presidente della
Repubblica è eletto dal Parlamento in
seduta comune, integrato da tre delegati per ogni Regione (a statuto ordinario
e speciale) eletti dai rispettivi Consigli Regionali, nel rispetto delle minoranze politiche (due
alla maggioranza ed uno alla minoranza). Avendo la Valle d’Aosta un solo
delegato, il numero complessivo delle espressioni regionali - che si aggiungono ai senatori eletti e a
vita (ex Presidenti della Repubblica e
nominati ai sensi dell’art. 59, comma 2, Cost.) e ai deputati - pertanto ammonta a cinquantotto unità.
L’elezione ha luogo a scrutinio segreto ed a maggioranza qualificata dei
due terzi dei componenti l’Assemblea (Parlamento con funzioni elettorali in
seduta comune integrato dai rappresentanti delle Regioni), proprio per la necessità
che il Capo dello Stato sia eletto dal più gran numero di parlamentari e dei nunci regionali e, quindi, dalle varie
anime politiche, culturali e partitiche
italiane, essendo il Presidente della Repubblica il rappresentante della unità
nazionale (art.87 Cost.).
Solamente dal quarto scrutinio in poi è sufficiente la maggioranza
assoluta, ossia il 50 per cento più uno dei componenti del Parlamento in seduta
comune integrato nel modo sopra evidenziato: inevitabile la conseguenza di un
Capo dello Stato con una statura istituzionale e di moral suasion di minor cabotaggio.
I Padri Costituenti hanno optato per un tipologia di sistema elettorale
indiretto, per il tramite del Parlamento, organo rappresentativo del Popolo
italiano, rifiutando il percorso elettorale vigente in altri ordinamenti
(seppur sensibilmente diversificati fra di loro) come quello statunitense (presidenzialismo
puro) e francese (semi presidenzialismo), nei quali il Presidente viene votato direttamente dal Popolo (negli
Stati Uniti attraverso la elezione dei
Grandi elettori in ogni Stato membro).
Tale scelta è indubbiamente più coerente alla forma del Governo
parlamentare (Parlamento con funzioni legislative conferente la fiducia al Governo, tributario di
competenze esecutive e, talora,
normative), mentre una maggiore consonanza della elezione diretta del Capo
dello Stato è con quei statuti ordinamentali che assegnano a quest’ultimo poteri
di ordine politico interno ed internazionale, nonché creatori di diritto.
A tale riguardo v’è un vivace e
annoso dibattito politico, culturale,
dottrinario e massmediatico su un eventuale mutazione genetica della nostra
intelaiatura costituzionale, nascente dall’inserimento nella nostra Grundnorm della elezione diretta
del Presidente della Repubblica, che
condurrebbe fatalmente ad una innovata qualificazione del Governo da
parlamentare a presidenziale (o semi-presidenziale a seconda del diverso
atteggiarsi delle modifiche costituzionali che sarebbero apportate in
subiecta materia).
Negli anni 1946 e 1947 tale concezione politologica statuale fu reietta
perché vista come foriera di pericoli per la democrazia, vista l’esperienza del
ventennio precedente: un Capo dello Stato eletto direttamente dal corpo
elettorale, con pieni poteri politici, esecutivi e legislativi, ha fatto
tremare le vene ai polsi della Assemblea
costituente, che ha virato convintamente per un Parlamento centrale nello
schema costituzionale, per un sistema di fonti legicentrica e un Governo con un
Presidente del Consiglio titolare di una apparente supremazia sui Ministri, ma
in realtà primus inter pares con i medesimi (del tutto differente dal premierato
britannico in cui il Prime Minister ha poteri, fra i tanti, di nomina
e revoca dei ministri) e, in conclusione, per un Presidente della Repubblica “simbolo” della
Nazione, con scarsi poteri effettivi (previsti agli artt. 59, comma 2, 87, 92,
104, 135 Cost.).
I requisiti dell’elettorato passivo sono pochi e semplici: essere
cittadino italiano, avere compito cinquanta anni e godere dei diritti civili e
politici. Esclusione era espressamente
sancita nell’art. XIII delle “Disposizioni transitorie e finali” della
Costituzione per i discendenti della famiglia reale Savoia: ”I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori
e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive”, ma la legge
costituzionale 23 ottobre 2002, n. 1 ne ha dichiarato l’inefficacia.
La durata dell’incarico è di
sette anni il cui dies a quo parte dalla prestazione del giuramento di fedeltà alla
Repubblica e di osservanza della Costituzione innanzi al Parlamento in seduta
comune, a mente dell’art. 91 Cost.
Il lungo periodo del mandato trova la sua giustificazione nel ruolo super partes di moderatore ed equilibratore delle diverse e contrapposte
istanze politiche del Presidente della Repubblica, non essendo vincolato ad alcuna specifica pars
politica.
La convocazione del Parlamento in seduta comune (che nella evenienza che
stiamo vivendo in questi giorni è composto da 1007 elettori: 630 deputati; 315
senatori eletti; 4 senatori a vita; 58 delegati delle Regioni) è compiuta dal
Presidente della Camera trenta giorni prima del giorno della scadenza del
settennato che, come abbiamo poc’anzi detto, incomincia a far data dal pronunzia
del solenne giuramento).
L’Aula che ospita la procedura elettorale è quella della Camera dei
Deputati(Palazzo di Montecitorio) ed è disciplinata dal suo Presidente, accanto
al quale siede quello del Senato della Repubblica. Per garbo istituzionale il
cerimoniale riserva 319 posti ai
senatori in quanto ospiti e componenti
della “Camera Alta”.
In ordine, prima votano i senatori a vita, poi i senatori eletti, successivamente i deputati e, infine, i delegati regionali.
In ordine, prima votano i senatori a vita, poi i senatori eletti, successivamente i deputati e, infine, i delegati regionali.
“Se le Camere sono
sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo
entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono
prorogati i poteri del Presidente in carica.”. (art. 85, comma 3).
Prof. Fabrizio Giulimondi
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